ARCHEOLOGIAERCOLANOMIGLIO D'ORORUBRICHEVESUVIANO

L’Antica Herculaneum e l’inizio dell’archeologia vesuviana

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Studiare la storia della scoperta archeologica dell’antica città di Ercolano significa anche ripercorrere, attraverso le varie fasi della vicenda, alcuni aspetti del Regno di Carlo di Borbone a Napoli. Don Carlos fu re molto amato dai napoletani che, dopo secoli di sottomissione al giogo straniero, potevano gioire di un sovrano proprio alla guida di un Regno indipendente.
Il giovane Borbone dimostrò sin dal principio di possedere doti di intelligenza e di buon senso che, pur tra le tante difficoltà caratteristiche di un territorio con svariate problematiche, gli permisero di avviare importanti processi di ammodernamento dello Stato, in linea con le istanze illuministiche emergenti. Sotto la sua guida Napoli entrò nel circuito delle grandi capitali europee, soprattutto grazie agli interventi promossi nel campo culturale ed artistico.
Lo scavo di Ercolano si inserì in questo contesto e, insieme con le seguenti scoperte di Pompei e Stabia, offrì al re una possibilità unica di affermazione di prestigio, proprio in un momento in cui ne aveva bisogno ai fini del consolidamento del suo governo. Iniziati durante l’edificazione della residenza reale di Portici, gli scavi diventarono ben presto l’attività principale del luogo, fonte generosa di pezzi per la nascente collezione archeologica del re. Proseguendo tra difficoltà, critiche, errori grossolani e felici intuizioni, la scoperta segnò una tappa fondamentale per l’archeologia moderna e per l’allora giovane Regno indipendente delle
Due Sicilie. La curiosità che si generò intorno ad esse pose il Regno al centro delle attenzioni della comunità internazionale, accrescendo la popolarità di Carlo di Borbone.

L’importanza della vicenda va colta anche nei risvolti positivi che essa generò e nei processi che innescò; fu istituita l’Accademia Ercolanese che, diretta dall’esperto ministro toscano Bernardo Tanucci con perizia e competenza, lavorò per la pubblicazione dei volumi delle Antichità di Ercolano, particolare biglietto da visita che il re di Napoli offrì all’attenzione delle più alte personalità del tempo, che dovevano stupire di fronte agli oggetti recuperati alla furia devastatrice del Vesuvio ed allo scorrere dei secoli. Nacque il Reale Museo Ercolanese, contenitore dei tesori d’antichità della collezione reale, ed al suo interno si sperimentarono
soluzioni museali innovative, a riprova della graduale maturazione della politica culturale partenopea. Una maturità che significò presa di coscienza della rilevanza del patrimonio culturale e che toccò il suo punto focale
nell’emanazione, con una prammatica nel 1755, della prima legislazione di tutela per i beni culturali archeologici del Regno. Questa normativa, frutto delle problematiche che un patrimonio ingente ed importante, quale era quello archeologico napoletano, poneva , trasse spunto dallo studio degli strumenti dello stesso tenore che altri Stati avevano già sperimentato. In tal
senso l’influenza maggiore l’ebbero i testi legislativi dello Stato Pontificio, approntati in virtù della rilevanza dei tesori sotto la giurisdizione papale. Il legislatore napoletano riuscì, attraverso un confronto positivo perché critico, a prendere gli elementi portanti della normativa pontificia sviluppandoli alla luce delle necessità del proprio territorio e alla luce delle peculiarità dei tesori posseduti.

L’esperienza degli scavi fu sicuramente importante per il Regno di Carlo; anche dopo la sua partenza per Madrid egli resterà legato alla vicenda e chiederà sempre informazioni al fidato Tanucci. Gli scavi costituirono un banco di prova delle capacità del giovane re di condurre una politica seria anche in un settore specifico come quello dei beni culturali. La risposta fu sicuramente all’altezza e gli inevitabili errori strategici e tecnici compiuti non intaccarono la bontà di una politica culturale che, con il tempo ed attraverso le esperienze acquisite, riuscì a strutturarsi in modo serio e coerente.

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